Burocrazia, più pericolosa dalla mafia?

di Alessandro Bottero

Diciamo sul serio o è solo una provocazione? Ovviamente è una provocazione, ma forse nemmeno tanto lontana dal reale. Ricordate il caso di Riccardo Greco?

Imprenditore di Gela, nel 2003 denuncia il pizzo, fa condannare dopo otto anni gli estorsori, ma finisce indagato per concorso esterno di mafia, perché uno degli imputati a processo, per difendersi o piuttosto per vendetta, lo accusa di complicità. Greco non è vittima del pizzo, ma colluso, ossia avrebbe consapevolmente accettato di pagare il pizzo, e solo dopo non essere riuscito ad ottenere cosa voleva ha denunciato. Paradossale, pensereste voi. Accusa al massimo buona per i pettegolezzi da bar, o i deliri sui social.

Eppure non basta che la sentenza con la quale la Cassazione condanna i mafiosi del suo processo, lo consideri una vittima. Non basta neppure che Greco sia assolto dalle accuse nel 2018, dopo quindici anni dall’inizio del processo e venti dai fatti. Il prefetto di Caltanissetta, fondandosi unicamente sulle tesi della procura smentite in giudizio, lo interdice e lo toglie dalla Lista dei Virtuosi antimafia. La cosa per Greco ha come conseguenza la perdita di tutti gli appalti, del credito bancario e, nel giro di pochi mesi, lo manda in rovina. Riccardo Greco tenta anche di fare ricorso al Tar, ma questo replica che l’errore di un prefetto non sia sindacabile nel merito, se non “per manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti”. Alla fine Greco, che aveva denunciato la mafia, si toglie la vita, stroncato dalla burocrazia. Un mese dopo la sua morte l’azienda ottiene la riabilitazione.

Ma cosa sono le interdittive antimafia? Sono l’atto con cui un prefetto con un provvedimento monocratico e autoritativo, assunto senza contraddittorio alcuno e in violazione del diritto di difesa, può deliberare l’esclusione dalla white list delle imprese antimafia, far chiudere i rubinetti del credito bancario per le aziende (con conseguenza blocco dei fidi) , in sintesi fare terra bruciata attorno a un’impresa.

Ed eccoci alla provocazione iniziale: in nome della lotta alla mafia lo Stato di diritto è stato consegnato all’arbitrio di una burocrazia, che decide sul rischio di infiltrazioni malavitose non con equità, ma con indifferenza e discrezionalità tecnica fondata non su prove raggiunte al di là di ogni ragionevole dubbio, ma in base a quella che il Consiglio di Stato ha definito la regola causale del “più probabile che non”.