Abuso d’Ufficio. Il feticcio giustizialista che blocca qualsiasi possibilità

Di Alessandro Bottero

Zeno D’Agostino è stato destituito dall’Anac dal ruolo di Presidente del porto di Triste (nella foto) , perché nel 2016 all’atto della nomina ricopriva, a titolo gratuito e senza poteri gestionali, un incarico di rappresentanza in una società partecipata dall’Autorità portuale.

Questa è la motivazione della decisione con cui uno dei porti più importanti di Europa, terminale che collega l’Adriatico all’Europa, si è trovato privo di un Presidente competente ed onesto.

D’Agostino è incappato in un divieto formale che estremizza il principio di precauzione, ossia la contiguità anche solo ipotetica tra ente controllante e società controllata è causa di inconferibilità dell’incarico. Questo anche quando per la pubblica amministrazione la cosa si traduce in una perdita di competenze. E allora la valorizzazione del merito?

Questa preoccupazione ossessiva per gli abusi di ufficio, per le minutaglie cavillose e da azzeccagarbugli, sono il retaggio della stagione politica 2011- 2013, quando la politica tradizionale, sconvolta dalla crescita dell’antipolitica, cercava di lisciare il pelo alla pancia degli elettori, sperando così di baldirli.

La cosa non ha funzionato, e oggi le amministrazioni comunali, provinciali, regionali, sono bloccate. Ogni decisione, ogni bando può essere impugnato da chi lo perde, accusando le amministrazioni dell’innominabile reato di Abuso di Ufficio, e a quel punto i social si scatenano sul politico “corrotto e maledetto”.

I Romani non sbagliavano mai: Summa Lex, summa iniuria