Due torti non fanno un diritto

Di Alessandro Bottero

I recenti fatti avvenuti negli USA a seguito della morte di George Floyd, ossia disordini e saccheggi in numerose città statunitensi, porta a riflettere su un punto molto importante per chi cerca di ragionare sul diritto.

A che punto la comprensibile rabbia della parte lesa cessa di essere giustificabile? 

L’evoluzione della società ha seguito uno sviluppo, non sempre lineare ovvio, per cui sempre più il singolo o le parti sociali, hanno ceduto allo stato  – e agli organi da questo ritenuti adatti – la titolarità dell’azione punitiva rispetto alle offese o ai reati.

Se il genitore di un bambino ucciso da un maniaco, individuasse, catturasse e giustiziasse il colpevole della morte del figlio, sia pure in presenza di prove certe e inconfutabili della responsabilità diretta, volontaria e consapevole di questo, commetterebbe lo stesso un reato, sostituendosi alla legge.

Allo stesso modo chi pensa di “vendicare” secoli di oppressione o “dare quello che si merita” alla polizia razzista e corrotta, assaltando i commissariati, bruciando edifici, distruggendo proprietà pubbliche, sia pure davanti a “prove certe e inconfutabili”, commette un torto.

 E come si è detto da subito due torti non fanno un diritto