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Split payment: escluse le sanzioni per gli errori precedenti ai chiarimenti

4 Maggio 2015
in Circolari
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(Agenzia delle entrate, circolare n. 15/E del 13 aprile 2015)

Dopo le prime indicazioni arrivate con le circolari n. 1/E e n. 6/E, pubblicate rispettivamente il 9 e il 19 febbraio scorsi (vedi, sul numero di marzo, il fisco si spiega a pag. 40), la disciplina dello “split payment” è stata approfondita dall’Amministrazione finanziaria con un ulteriore documento, la circolare n. 15/2015, che fornisce altri chiarimenti in materia, in particolar modo su rimborsi, sanzioni e incroci con il reverse charge. Lo split payment, definito anche “scissione dei pagamenti”, è il nuovo meccanismo di riscossione dell’IVA, introdotto dall’ultima legge di stabilità (articolo 1, comma 629, legge n. 190/2014) come strumento di contrasto all’evasione e alle frodi nel settore dell’imposta sul valore aggiunto. La disciplina prevede che, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dal 1° gennaio 2015 nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, la relativa IVA è versata dalle stesse PA cessionarie/committenti, differentemente da quanto stabiliscono le regole ordinarie del tributo, secondo le quali soggetto debitore d’imposta è chi effettua la cessione o la prestazione. In pratica, i soggetti pubblici devono pagare ai fornitori di beni e servizi soltanto il corrispettivo, al netto dell’IVA, e versare l’imposta connessa all’operazione direttamente all’erario.
Rimborsi. Per limitare gli effetti finanziari negativi per i fornitori della PA che, come conseguenza diretta dell’applicazione dello split payment, non incassano l’imposta finendo col trovarsi in una costante posizione creditoria, la stessa legge di stabilità 2015 che ha introdotto il nuovo meccanismo è intervenuta anche sulla disciplina dei rimborsi IVA. In particolare, è stata modificata la disposizione che, tra le casistiche ammesse al rimborso dell’eccedenza detraibile (sempre che di importo superiore a 2.582,28 euro), individua i contribuenti che effettuano esclusivamente o prevalentemente operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle dell’imposta relativa agli acquisti. Ora, nel conteggio dell’aliquota media delle operazioni attive vanno incluse anche quelle ad “aliquota zero” effettuate nei confronti delle pubbliche amministrazioni. A tal proposito, la circolare ha puntualizzato che la circostanza di effettuare operazioni soggette allo split payment non basta di per sé a giustificare la richiesta di rimborso: piuttosto, tali operazioni vanno conteggiate, insieme alle altre del periodo di riferimento (trimestre o anno), nel calcolo per verificare la sussistenza del c.d. presupposto dell’“aliquota media” (il rimborso spetta se l’aliquota mediamente applicata sugli acquisti supera quella mediamente applicata sulle cessioni, maggiorata del 10%).
Inoltre, le operazioni soggette allo split payment danno diritto all’erogazione prioritaria del rimborso, cioè entro tre mesi dalla richiesta, nel limite dell’imposta applicata a quelle stesse operazioni effettuate nel periodo in cui si è generata l’eccedenza d’imposta chiesta a rimborso. La priorità, però, scatta soltanto in presenza del presupposto dell’“aliquota media”. Quindi, può anche accadere che il rimborso risulti prioritario solo per una parte, mentre quella restante segue il consueto ordine cronologico di presentazione della domanda. Il contribuente che effettua operazioni soggette allo split payment e non ha i requisiti per il presupposto dell’“aliquota media”, può comunque richiedere il rimborso nel caso in cui sussistano altri presupposti (articolo 30 del DPR n. 633/1972), ad esempio se effettua operazioni non imponibili per un ammontare superiore al 25% di tutte le operazioni effettuate. In questo caso, però, il rimborso non è ammesso all’esecuzione prioritaria.
Sanzioni. In applicazione del principio sancito dallo Statuto dei diritti del contribuente in tema di obiettive condizioni di incertezza (articolo 10, comma 3, legge n. 212/2000), la circolare n. 15/2015 esclude l’applicazione di sanzioni per le violazioni commesse prima della sua pubblicazione, purché l’imposta – anche se con modalità irregolari – sia stata assolta.
Gli incroci con il reverse charge. Lo split payment non si applica alle operazioni che rientrano nell’altro meccanismo particolare cosiddetto dell’“inversione contabile” o reverse charge, per effetto del quale il destinatario di una cessione di beni o una prestazione di servizi, se soggetto passivo IVA, è tenuto ad assolvere l’imposta in luogo del cedente o prestatore. Nella pratica, il cedente/prestatore emette la fattura senza addebitare l’imposta e indica sul documento la norma che prevede l’utilizzo del reverse charge. L’acquirente/committente integra la fattura ricevuta con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e annota il documento sia nel registro delle fatture emesse sia in quello degli acquisti, rendendo in tal modo neutrale l’effetto dell’imposta sull’acquisto. Tra le operazioni attualmente soggette a reverse charge, ricordiamo: le cessioni di telefoni cellulari, di personal computer e loro componenti e accessori, di materiali e prodotti lapidei, di fabbricati (o loro porzioni) imponibili IVA su opzione del cedente; le prestazioni di servizi di pulizia, demolizione e installazione di impianti relative ad edifici. Dunque, quando va applicato il reverse charge, non c’è split payment.
L’incrocio tra le due discipline si complica un po’ quando i beni e servizi acquisiti dalla PA sono in parte destinati alla sfera commerciale e in parte alla sfera istituzionale non commerciale, non risultando in quest’ultimo caso soggetto passivo IVA. In questi casi, la PA deve comunicare al fornitore la quota del bene/servizio destinato alla sfera commerciale, in relazione alla quale si applica il reverse charge; invece, la quota destinata alla sfera istituzionale non commerciale sarà assoggettata allo split payment.
Altre operazioni escluse. La circolare, infine, ricorda che non rientrano nell’ambito di applicazione dello split payment:
le prestazioni di servizi rese alle PA i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta o a titolo di acconto (i professionisti, pertanto, continuano ad applicare ed incassare l’IVA per le prestazioni rese nei confronti delle pubbliche amministrazioni);
le operazioni (ad esempio, le piccole spese dell’ente pubblico) certificate dal fornitore mediante ricevuta, scontrino fiscale (ovvero non fiscale, per chi si avvale della trasmissione telematica dei corrispettivi, come i supermercati) o fattura semplificata. Se però il cliente richiede l’emissione della fattura al posto dello scontrino o della ricevuta, l’operazione è soggetta allo split payment;
le operazioni assoggettate, ai fini Iva, a regimi speciali (ad esempio, il regime monofase per editoria, tabacchi, telefoni pubblici, ecc; il regime del margine per i beni usati; il regime speciale per le agenzie di viaggio), compresi quelli che, pur prevedendo l’addebito dell’imposta in fattura, sono caratterizzati da un particolare meccanismo forfetario di determinazione della detrazione spettante (ad esempio, quelli relativi alle attività di intrattenimento e agli spettacoli viaggianti).

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