(Dipartimento del tesoro, nota prot. DT 10492 del 5 febbraio 2014)
Buone notizie per proprietari ed inquilini destinatari della “fastidiosa” disposizione introdotta dall’ultima legge di stabilità, in base alla quale, a partire dal 1° gennaio scorso, il pagamento dei canoni abitativi andava obbligatoriamente effettuato senza l’utilizzo di contanti, ma con modalità che ne assicurino la tracciabilità, quindi con assegni, bonifici, ovvero, se si versa a società o agenzie immobiliari, anche con carte di credito o bancomat. E questo a prescindere dall’importo del canone. In materia è arrivato un quanto mai opportuno parere da parte del competente dipartimento ministeriale: le sanzioni sono applicabili solo se l’importo del pagamento cash è di almeno 1.000 euro, ossia se raggiunge la soglia fissata dalle norme antiriciclaggio sul limite all’utilizzo del contante. Entro quel tetto, dunque, è possibile tornare a pagare l’affitto con soldi liquidi. La norma della “Stabilità 2014” si riferiva a tutti i canoni abitativi, compresi quelli relativi agli affitti degli studenti universitari e alle case per le vacanze, con l’esclusione dei soli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Non valeva, invece, per uffici, negozi, capannoni; più in generale, per tutti gli immobili diversi dalle abitazioni. Nei confronti di chi “sgarra”, è applicabile la sanzione amministrativa compresa tra l’1 e il 40% dell’importo corrisposto, con un minimo di 3.000 euro (si tratta della misura prevista, dal decreto legislativo n. 231/2007, per le violazioni alle norme che limitano l’utilizzo del denaro contante). In più, poiché la disposizione scattata dal 1° gennaio stabilisce che il pagamento tracciabile ha anche la funzione di asseverare i patti contrattuali per poter beneficiare di agevolazioni e detrazioni fiscali previste a favore di locatori e conduttori, dalla mancata osservanza dell’obbligo di non pagare l’affitto in contante discende anche la perdita di quei benefici: ad esempio, il proprietario, relativamente ai contratti a canone concordato, ci rimette la riduzione dell’imponibile Irpef, lo sconto sull’imposta di registro e quelli Imu, eventualmente decisi dal Comune per quel tipo di locazione; l’inquilino, invece, può perdere la specifica detrazione Irpef per chi vive in affitto (articolo 16 del Tuir) o quella del 19% per i canoni d’affitto dell’appartamento utilizzato dal figlio universitario. La norma, secondo il legislatore, avrebbe contratasto il fenomeno dell’evasione fiscale legata alle locazioni in nero. A nostro avviso, invece, la disposizione non aveva alcuna chance di centrare l’obiettivo. Non vediamo, infatti, come possa influire sul comportamento di chi, fino ad oggi, con la complicità dell’inquilino, ha affittato in nero: potrà infatti “tranquillamente” continuare a fare come prima, ossia intascare i canoni in contanti. Piuttosto, la novità avrebbe creato problemi ai tanti inquilini che non possiedono un conto corrente (è stimato che non lo ha circa il 20% degli stranieri che vivono in affitto) e alle persone anziane, abituate da sempre a pagare qualsiasi cosa esclusivamente in contanti, con le banconote della pensione riscossa all’ufficio postale. Avrebbe portato invece vantaggi alle banche, ben liete di “maneggiare” altre somme di denaro e di incassare i costi di commissione per le transazioni. Fortunatamente il ministero, manifestando buon senso, ha di fatto annullato gli effetti della norma “insensata”: non c’è sanzione per chi paga l’affitto in contanti, se l’importo è al di sotto dei 1.000 euro. Inoltre, per attestare l’effettivo versamento del canone e non perdere eventuali benefici fiscali, sarà sufficiente “ripristinare” la vecchia ricevuta rilasciata dal proprietario all’inquilino.