(Corte di cassazione, sentenze n. 2594 del 5 febbraio 2014 e n. 3142 del 12 febbraio 2014)
Due interessanti pronunce della Cassazione a favore dei contribuenti in materia di accertamento “anticipato”, cioè emesso prima che siano passati 60 giorni dalla conclusione della verifica, come invece prescritto dall’articolo 12, comma 7, della legge n. 212/2000 (“Statuto dei diritti del contribuente”): “… dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”. Dunque, tra la chiusura della verifica e l’emanazione dell’avviso di accertamento devono passare almeno 60 giorni. Se il termine “minimo” non è rispettato, l’accertamento – a meno che l’Amministrazione finanziaria non invochi (e documenti adeguatamente) una valida ragione di urgenza (ad esempio, in caso di reiterate condotte penali tributarie) – è nullo. Ciò anche nell’ipotesi in cui l’indagine, effettuata presso l’ufficio fiscale e non presso i locali destinati all’esercizio dell’impresa, non si sia conclusa con un processo verbale di constatazione. È quanto emerge dalla sentenza n. 2594/2014, con cui la Cassazione ha ribaltato a favore del contribuente l’esito della vicenda processuale (che si era risolta pro Fisco davanti alle Commissioni tributarie), scaturita da un avviso di accertamento, in riferimento al quale l’interessato aveva contestato, tra l’altro, il mancato rispetto del termine di 60 giorni per la notifica dell’avviso, decorrenti dalla chiusura delle operazioni di verifica. Sia la CTP che la CTR, però, non avevano raccolto tali doglianze, ritenendo che la norma richiamata si riferisse ai soli accessi, ispezioni e verifiche effettuati nei locali destinati all’esercizio dell’attività e non anche all’attività istruttoria interna dell’ufficio (nel caso esaminato, l’atto emesso dall’Agenzia delle entrate traeva origine da indagini bancarie, a seguito delle quali l’ufficio aveva recuperato a tassazione ricavi non contabilizzati). La Cassazione, invece, ha condiviso l’osservazione del contribuente in merito al mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni. La norma, benché si riferisca espressamente alle verifiche fiscali condotte presso il contribuente, va interpretata in maniera estensiva: la nullità dell’accertamento emesso anzitempo non scatta soltanto in relazione alla verifica che si conclude con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di constatazione, ma anche nei casi in cui l’accertamento sia frutto di istruttoria svolta presso l’ufficio. Con l’altra pronuncia (n. 3142/2014), invece, è stata respinta la tesi dell’Agenzia delle entrate, secondo la quale la particolare e motivata urgenza, che consente di disapplicare il termine dilatorio di 60 giorni, sussiste sempre quando la chiusura della verifica avviene nei 60 giorni anteriori alla scadenza del termine di decadenza previsto per la notifica dell’avviso di accertamento. Secondo la Cassazione, l’ufficio, quando sostiene di non aver potuto rispettare il termine dilatorio perché le operazioni di verifica si sono chiuse oltre il sessantesimo giorno che precede la scadenza del termine di decadenza dell’accertamento, deve dimostrare che tale circostanza è stata determinata da “fatti o condotte ad essa non imputabili a titolo di incuria, negligenza od inefficienza”. Se non offre tale prova (come è avvenuto nel caso esaminato), l’avviso di accertamento è da considerare nullo.