Stop alla ritenuta del 20% sui bonifici esteri. Somme già prelevate da restituire

(Ministero dell’economia e delle finanze, comunicato stampa del 19 febbraio 2014 – Agenzia delle entrate, provvedimento del 19 febbraio 2014)

Congelato il prelievo forzoso sui trasferimenti di denaro provenienti dall’estero ed aventi come beneficiario una persona fisica. Le somme eventualmente già trattenute saranno restituite agli interessati dagli intermediari finanziari. L’Agenzia delle entrate ha sospeso fino al 1° luglio l’operatività della norma contenuta nella “Legge europea 2013” (n. 97/2013), che ha introdotto l’obbligo, per gli intermediari finanziari (fondamentalmente, le banche), di effettuare una ritenuta d’acconto del 20% sui redditi derivanti da investimenti detenuti all’estero o da attività estere di natura finanziaria. In realtà, il rinvio è stato disposto per consentire al nuovo Governo di approntare una nuova norma, abrogativa dell’adempimento, che – come annunciato dal Ministero delle Finanze con comunicato stampa – non è più necessario, alla luce dell’evoluzione del contesto internazionale in materia di contrasto all’evasione fiscale. In tale ambito, infatti, è stato predisposto un sistema automatico di scambio di informazioni tra i Paesi, tale da far ritenere superata la disposizione che ha introdotto la ritenuta in questione. La norma “incriminata” è l’articolo 4, comma 2, del DL n. 167/1990, come modificato dalla “Legge europea 2013”, che ha disposto una ritenuta d’acconto del 20% su una serie di redditi, provenienti dall’estero, che concorrono alla formazione del reddito complessivo. Si tratta di redditi diversi: locazioni immobiliari, plusvalenze da cessione di immobili, terreni edificabili, partecipazioni qualificate, ecc.. Il provvedimento attuativo del 18 dicembre 2013 aveva fissato la decorrenza dell’obbligo della ritenuta a partire dal 1° febbraio 2014 (termine ora spostato al 1° luglio, in attesa delle definitiva abrogazione). Per evitare l’appli­cazione automatica della ritenuta su qualsiasi cifra proveniente dall’estero, l’interessato avrebbe dovuto produrre, preferibilmente in via preventiva (per evitare di subire il prelievo ed essere poi costretto a richiederne il rimborso), un’auto­certi­ficazione per attestare che le somme provenienti dall’estero non hanno connotazione reddituale, non rappresentano cioè redditi derivanti da investimenti all’estero o da attività estere di natura finanziaria, ma sono, ad esempio, una donazione o la restituzione di un prestito. Nei casi di non applicazione della ritenuta, cioè quando il contribuente rendeva l’autocertificazione, l’inter­mediario avrebbe dovuto segnalare la circostanza al Fisco. Contro il provvedimento hanno ben presto tuonato gran parte dei parlamentari dell’op­posizione e le associazioni dei consumatori, che lo hanno bollato come “ennesimo abuso di potere”. La questione, tra l’altro, è finita anche sotto la lente d’ingrandimento della Commissione UE, sollecitata a valutare l’ipotizzata violazione delle norme comunitarie sulla libera circolazione dei capitali. Il problema è che, ancora una volta, in nome della sacrosanta crociata contro l’evasione, viene introdotta una presunzione pro Fisco (in pratica, tutto ciò che proviene dall’estero si considera reddito tassabile), scaricando sul contribuente oneri ed adempimenti per cercare di affermare il contrario. E, nel caso specifico, le ipotesi di estraneità all’imposizione possono essere di gran lunga più frequenti rispetto a quelle da tassare. Si pensi, ad esempio, alle migliaia e migliaia di lavoratori italiani all’estero che mandano soldi a casa, alla famiglia: sono somme guadagnate e possedute in maniera più che lecita, già tassate in quel Paese, alle quali, in base alla norma ora sospesa, si sarebbe dovuto applicare anche il prelievo del 20%.