Non hanno validità gli accordi sottobanco tra proprietario e inquilino

(Corte di cassazione, ordinanza n. 37 del 3 gennaio 2014)

La scrittura privata con cui locatore e locatario stabiliscono un affitto superiore rispetto al canone ufficializzato al Fisco con il contratto depositato, non ha validità né è sanabile con una tardiva registrazione. Ne consegue l’impos­sibilità, per il proprietario, di sfrattare per morosità l’inquilino che non paga la somma concordata “sottobanco”.
L’ordinanza n. 37/2014 della Cassazione sorpassa la precedente posizione (sentenza n. 16089/2003), secondo cui l’omissione dell’adem­pimento fiscale (ossia, la mancata registrazione del contratto di locazione) non determinava la nullità dell’accordo stipulato tra le parti. All’epoca, l’orien­ta­mento era stato motivato con queste parole: “nonostante l’indubbio risalto dato dalla legge n. 431 del 1998 al profilo fiscale relativo alla registrazione del contratto di locazione, la stessa non è stata tuttavia elevata a requisito di validità del contratto, atteso che l’art. 1, comma 4, L. n. 431 del 1998 richiede quale requisito di validità del contratto di locazione solo la forma scritta, e non anche la registrazione, sicché un contratto di locazione concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante per le parti, e può essere fatto valere in giudizio”. Ora, invece, secondo la Corte suprema, gli unici accordi che valgono tra le parti sono quelli previsti e contenuti nel contratto registrato.
Il caso esaminato riguardava la mancata corresponsione da parte dell’inquilino della quota di canone, stabilita nella scrittura privata, aggiuntiva rispetto all’affitto riportato nel contratto registrato. La richiesta di risoluzione del contratto per morosità avanzata dal proprietario non era stata accolta nei due gradi di merito, né – come anticipato – ha avuto miglior esito davanti alla Cassazione. Secondo quest’ultima, l’accordo sottobanco tra proprietario ed inquilino è classificabile nella fattispecie dell’abuso del diritto, avendo l’unica finalità di eludere l’im­posizione fiscale: è, pertanto, inammissibile ed illecito, non sanabile neppure con una registrazione tardiva. E, quindi, il locatore non ha diritto a percepire un canone maggiore di quello assoggettato ad imposta, ossia di quello indicato nel contratto originario. Tuttavia, ciò non significa – sottolineano i Giudici – che l’importo dell’affitto non può essere modificato nel corso della durata del contratto; a tale scopo, le parti devono sottoscrivere un nuovo accordo, che, a sua volta, dovrà essere registrato e sottoposto a tassazione.